Gioco anale passivo a Brescia, mentre ripensavo alle mie ultime giornate in giro per l’Italia, mi è tornato alla mente un momento speciale vissuto a Brescia. Una scena così semplice, eppure così intensa… qualcosa che non capita spesso, ma che il corpo non dimentica.
Era una sera tranquilla, il solito appuntamento. Un uomo mi aveva scritto su Telegram — educato, diretto, senza troppa poesia. “Vorrei incontrarti. Subito.”
Sono bastati pochi messaggi.
Quando è arrivato, era esattamente come me l’aspettavo: basso, non troppo giovane, ma con quegli occhi che ti fissano come se sapessero già dove andrai a finire.
Lascia parlare il tuo buco.
Non con le parole, ma con i tremori.
Con ogni pulsazione, ogni stretta, ogni goccia.
Perché quando parla, un vero uomo ascolta —
e ti fa venire senza nemmeno toccarti il cazzo.
Abbiamo parlato poco. In realtà, non c’era bisogno.
Mi sono inginocchiata davanti a lui, l’ho guardato dritto negli occhi e ho cominciato a succhiargli il cazzo. Adoro farlo. La sensazione di tenerlo in bocca, di sentire il controllo che mi scivola via ad ogni colpo di gola… è pura estasi.
Non ci ha messo molto. Il suo respiro è diventato più profondo, ha spinto leggermente la mia testa con una mano e mi ha riempito la bocca. Caldo, pieno, deciso.
Ho inghiottito tutto. Senza parlare. Solo con uno sguardo complice.
E subito dopo mi ha guardata e ha detto:
— Posso restare un’ora in più?
— Certo, — ho risposto. — Sono 200.
— Va benissimo.
Ha tirato fuori il portafoglio, ha piegato due banconote da cento euro e le ha appoggiate con calma sul comodino. Nessuna discussione.
Ma invece di rimettersi a scoparmi, come fanno quasi tutti… si è seduto sul bordo del letto, mi ha accarezzata e ha sussurrato:
— Ora voglio che vieni tu.
Mi sono sdraiata. Lui si è avvicinato.
Nessuna fretta, nessuna brutalità. Solo la precisione lenta e chirurgica di un uomo che sa dove mettere le dita.
Ha iniziato a sfiorarmi l’ano, con delicatezza, come se volesse solo risvegliarlo. Poi un dito… poi due… e mentre una mano mi penetrava, l’altra accarezzava il mio cazzo, senza strofinare, solo avvolgendo.
Era l’inizio di un vero gioco anale passivo.
Io lì, immobile, nuda, le gambe leggermente aperte, il respiro che tremava.
Ogni movimento delle sue dita era come un’onda lenta, profonda, che mi prendeva dal basso e mi trascinava oltre il limite.
— Rilassati, — sussurrava. — Lascia che sia il tuo culo a parlare.
E parlava, eccome. Era come se il mio buco fosse diventato il centro del mondo. Ogni nervo era teso, ogni muscolo in ascolto. E le sue dita… giocavano, giravano, premevano. Entravano e uscivano come se stessero esplorando un luogo sacro.
E io? Io non potevo fare nulla. Solo respirare e lasciarmi andare.
In quel momento non ero più io.
Ero solo un corpo pronto a godere.
Un buco. Una bocca. Un essere fatto per essere usato.
Il mio cazzo era duro. Durissimo. Ma nessuno lo toccava veramente. Era tutto nella mia testa, e nel mio culo.
E quando ha premuto quel punto preciso, con due dita piegate e ferme… ho sentito un’esplosione.
Un’onda calda, incontrollabile.
Ho gridato. Sì, ho gridato davvero.
E ho eiaculato. Forte. Con forza. Senza che lui accelerasse. Solo con la sua mano lì dentro.
Il mio sperma è finito sul petto, sul collo, e anche sul letto.
Mi sono accasciata come dopo un orgasmo che ti lascia senza ossa.
E lui, sorridendo, ha leccato un po’ del mio sperma e ha detto:
— È così che mi piace vederti venire.
Il gioco anale passivo non è solo una questione di dita o di stimolazione.
È uno stato mentale. È lasciarsi dominare da un uomo che sa come toccarti.
È non avere paura di arrendersi. Di godere senza controllare.
E soprattutto, di venire senza nemmeno sfiorarti il cazzo.
Dopo quell’incontro, ci siamo abbracciati in silenzio.
E lui ha sussurrato:
— La prossima volta ti faccio godere solo con la lingua.
Da quel giorno, ogni volta che qualcuno mi chiede cosa mi piace davvero…
sorrido, mi avvicino all’orecchio e rispondo piano:
“Gioco anale passivo… se sai giocare con le dita.”
Brescia — quando un uomo mi ha fatto venire solo con le dita






