Sapevo che sarebbe arrivato. Lui è sempre puntuale. Non dice mai “ciao”, non chiede permesso. Entra e basta. Perché può. E perché ha già pagato per farlo. In quel momento, tutto il mio corpo appartiene a lui: è questa la dominazione sessuale trans che ho imparato ad amare — non fatta di catene, ma di precisione, sottomissione e carne.
Mi trovavo a Bergamo da qualche giorno. Appartamento discreto, luci soffuse, letto sempre pronto.
Mi ero preparata con attenzione. Un’ora prima del suo arrivo: doccia lunga, rasatura completa, olio profumato al mandorlo, che lascia la pelle scivolosa. Nessuna mutandina. Solo le mie calze a rete preferite, con pizzo nero.
Labbra lucide, un filo di trucco già leggermente sbavato — come gli piace. Addosso solo un accappatoio corto. Sotto? Nulla. Tacchi alti. Gamba tesa. Pronta per essere usata.
Non sono una puttana qualunque. Non sono solo una trans. Sono un oggetto scelto. Una bambola viva.
Il mio corpo si paga, si apre, si consuma. E lui ha già pagato. Mez’ora. Anticipo. Nessuna conversazione. Nessuna negoziazione.
Stavo fumando davanti alla finestra. Erano le 21:00 precise. A Bergamo di sera l’aria è ferma, e dentro di me tutto era già acceso.
Alle 21:03 ho sentito i suoi passi sul pianerottolo. Precisi. Decisi. Come sempre.
Ha aperto la porta con la chiave elettronica. Nessun saluto. Solo silenzio e pelle nera: cappotto lungo, scarpe lucide, occhi freddi.
È venuto verso di me e mi ha preso per il mento.
— In piedi, — ha detto.
Mi sono alzata lentamente. L’accappatoio è scivolato a terra. Il mio corpo si è rivelato: seno sodo, cazzo duro e lucido, pelle profumata, calze che finivano dove iniziava la mia voglia.
Ha passato la mano sul mio ventre, poi giù, tra le gambe. Mi ha stretto le palle.
— Sei eccitata?
— Sì… tutta per te.
Ha annuito. Ha tolto i guanti, poi il cappotto. Lo ha appeso.
Sotto una camicia nera aderente, pantaloni perfetti. Ha slacciato la cintura, poi la zip. Il suo cazzo era già mezzo duro.
Mi sono inginocchiata, pronta a succhiare, ma lui mi ha fermato.
— No. Sul letto. A quattro zampe. Faccia in giù. Culo in alto.
Ho eseguito. Il letto era freddo, ma il mio corpo bolliva.
Le ginocchia larghe, le mani affondate nel materasso. Il mio ano, già unto, si offriva palpitante.
Lui si è avvicinato. Ha aperto il preservativo e l’ha infilato.
Ha sputato sul mio buco, ha massaggiato con due dita. E poi… è entrato. In un colpo solo. Fino in fondo.
Ho gemuto.
Mi ha afferrato per i capelli e mi ha premuto la faccia contro il cuscino.
— Zitta. Questo non è per te. È per me.
E ha iniziato a scoparmi. Colpi secchi. Ritmati.
Ogni affondo era possesso.
Io sudavo, ansimavo, mi aggrappavo alle lenzuola.
Non c’era amore. Solo dominazione sessuale trans: violenta, muta, reale.
Ero la sua proprietà. E lui il mio padrone silenzioso.
Il mio buco si apriva. Si stringeva. Trepidava.
Ogni spinta mi faceva ansimare più forte. Non urlavo. Gemiti bassi.
Occhi lucidi.
Piangevo non dal dolore — ma per quanto desideravo appartenere.
Dopo dieci minuti è uscito. Ha tolto il preservativo, lo ha gettato nel cestino.
Mi ha girata sulla schiena, con un gesto secco.
— Apri le gambe. Guardami mentre ti scopo.
Le ho spalancate.
Il mio cazzo era teso, ma io non osavo toccarlo.
Ha infilato un secondo preservativo e mi è rientrato dentro.
Mi guardava negli occhi.
Nessuna parola. Solo il suo respiro e il rumore del mio corpo che lo prendeva.
— Sei una troia. Una troia mia.
— Sì… sono tua. Tua puttana. Tua cosa.
I colpi sono diventati più lenti. Profondi.
Poi si è fermato. È uscito.
Ha tolto il secondo preservativo e l’ha lasciato cadere a terra.
— Dove vuoi che venga?
— Sulle palle… per favore…
Si è avvicinato, si è masturbato davanti a me.
Il primo getto sulle palle. Il secondo sul ventre. Il terzo sul mio cazzo.
Ho chiuso gli occhi. Sapevo di essere bella. Usata. Vera.
Ma non era finita.
È venuto vicino. Il suo cazzo ancora caldo, appiccicoso, mi ha sfiorato le labbra.
— Lava.
L’ho preso in bocca.
L’ho leccato piano. Tutto.
Ho succhiato ogni goccia. Senza denti. Lingua lenta. Sottomessa.
Quando ho finito, lui si è pulito. Ha chiuso la zip, si è rivestito.
Alla porta si è girato.
— Non lavarti. Voglio che dormi con la mia sborra addosso.
E ha chiuso la porta.
Nessun saluto. Nessun bacio. Solo silenzio.
Io sono rimasta distesa. Le gambe aperte. Le labbra umide.
Lo sperma sulle palle. Sulla pancia. Sul cazzo.
Sentivo il mio ano ancora pulsare.
Vuota. Soddisfatta.
Dominata.
Quella notte a Bergamo… non la dimenticherò mai.
È stato più di un incontro. È stata pura dominazione sessuale trans.





