Una sessione reale con dominatrice a Napoli non è un gioco da cinquanta euro. È un’esperienza che ti segna, che ti svuota e ti ricostruisce. È un viaggio nella schiavitù totale, che inizia magari con un semplice rimming, passa attraverso la violenza muta di un dildo enorme, e può finire con una eiaculazione in bocca che ha più significato di mille parole. Ecco la storia vera di uno che pensava di sapere… ma non aveva ancora incontrato me.
Napoli. Qui tutto è più intenso: gli odori, gli sguardi, i desideri. È una città viva, carnale, dove la finzione si spezza al primo sguardo e la passione vera diventa quasi obbligatoria. Io sono IVI — IVISLUT. La mia presenza in questa città non è frequente, ma quando accade… si fa sentire. Perché io non metto in scena fantasie: io le realizzo. Le trasformo. Le consumo.
Io sono la Padrona. Sempre.
Anche quando taci. Anche quando godi. Anche quando implori.
Tu mi appartieni.
Anche quando credi di esserti liberato…
Tutto è cominciato con un messaggio. Diverso dagli altri.
«Non voglio giocare. Voglio sparire dentro di te. Appartenerti per davvero.»
Breve. Diretto. E vero.
Gli ho risposto con una sola parola: «Vieni».
Quando si è presentato alla mia porta, ho capito subito che non era come gli altri. Giovane, educato, un viso quasi ingenuo ma lo sguardo… lo sguardo tremava. Dentro c’erano paura, rispetto, desiderio. Mi ha consegnato 500 euro senza nemmeno nominarli. Due ore e mezza. Nessuna domanda. Nessuna condizione. Era già mio.
L’ho fatto entrare. Non ho detto nulla. L’ho solo guardato. Lento, precisa. Ogni passo, ogni secondo lo avvolgevo con lo sguardo. Poi ho dato l’ordine:
— «Spogliati. Piano.»
Ha obbedito subito. Muto. Con mani leggermente tremanti. Nudo, l’ho fatto inginocchiare. Gli ho stretto il collare, agganciato il guinzaglio.
— «Parla.»
— «Sono tuo, Padrona.»
L’ho legato. Polsi dietro la schiena, gambe divaricate. Volevo vedere dove arrivava. Così ho iniziato con quello che chiamo il mio “test iniziale”.
Il dildo più piccolo. Corpo teso, occhi chiusi, labbra serrate. Ma ha resistito.
Poi il medio. Ha iniziato a gemere. Il respiro è diventato caldo, irregolare. Il corpo ha cominciato ad aprirsi.
Poi il dildo enorme. E lì, le urla. Controllate, ma reali. Sudava. Si torceva. Ma non si è tirato indietro. E io? Mi stavo eccitando davvero. Quel tipo di eccitazione che non è solo fisica. È potere.
Mi sono seduta sul letto. L’ho guardato.
— «Adesso leccami. Ma fallo bene. Mostrami che sei degno.»
Ha iniziato con la lingua. Prima incerto, poi sempre più affamato. Un rimming come pochi. Lo tenevo per i capelli. Lo guidavo. Sentivo la sua devozione crescere sotto la mia pelle. E ho capito: meritava di più.
— «Mettiti dietro. Scopami.»
Lui ha obbedito. È entrato.
Dieci secondi.
È venuto.
Silenzio.
Mi sono girata lentamente. L’ho guardato come si guarda un bambino che ha rotto il suo unico giocattolo.
— «Hai finito? Per questo hai pagato?»
Lui si è abbassato. Umiliato. Mortificato.
Io mi sono alzata. Sono andata a prendere il dildo più grande che ho.
— «Ora ti insegno cosa significa servire. Preparati.»
L’ho preso. Forte. A fondo. Con ritmo lento e crudele. Gridava. Si piegava. Ma non è fuggito. E io lo possedevo. Anima e corpo. Nessuna parte di lui era più sua.
Dopo quasi un’ora di punizione, era distrutto. Sudato. Con gli occhi lucidi. Ma non era finita. Mi sono avvicinata.
— «Vuoi davvero redimerti? Dimostralo.»
L’ho preso in bocca. Lento. Elegante. Calcolata. Il suo corpo reagiva. Tremava. Il pene era teso di nuovo. E io? L’ho portato fino alla fine.
È venuto nella mia bocca. Ho ingoiato tutto.
Non perché lo meritasse. Ma perché io l’avevo deciso.
Io sono la Padrona. Sempre.
Quando se ne è andato, ha lasciato 200 euro di mancia. Non ha detto niente. Ma nei suoi occhi c’era tutto: gratitudine, vergogna, ammirazione. Era cambiato.
Non ci siamo più scritti per un po’. Ma la volta successiva che sono tornata a Napoli — per lavoro, per escort, per appuntamenti selezionati — lui mi ha scritto. Subito.
Non per chiedere. Ma per offrire.
— «Quando vuoi, io ci sono.»
E così abbiamo cominciato a vederci ogni volta che sono in città. Sessioni lunghe. Reali. Sessioni vere con dominatrice. Fatte di silenzio, disciplina, e totale sottomissione.
Quelli che mi scrivono per offrire 50 o 100 euro?
Li accetto, se ho tempo. Ma che non si aspettino nulla di speciale. Nessuna connessione. Nessun rispetto.
Il prezzo decide la qualità.
E io — non sono una che si vende al ribasso.




